La prima volta che mi sono avvicinata alla fotografia istantanea è stato agli inizi degli anni 2000. Essendo nata negli anni settanta avevo di certo posseduto una polaroid durante la mia adolescenza, come molti miei coetanei, ma in verità non ne avevo mai comprese del tutto le possibilità espressive e di conseguenza non avevo mai contemplato di usare questo tipo di mezzo fotografico come espressione artistica.
All’epoca già sviluppavo e stampavo in bianco e nero da circa 10 anni, ma ero alla ricerca di qualcosa di diverso, di più artistico, che mi permettesse di creare qualcosa di unico. Fu durante questa ricerca che mi imbattei nei libri di Kathleen T. Carr sulle manipolazioni e i trasferimenti di emulsione e fui inspirata a comprare la mia prima (e anche unica per ora) land camera sx-70. All’epoca erano ancora reperibili le pellicole Time-zero che si prestavano molto alle manipolazioni di emulsioni che tanto mi ricordavano la pittura ad acquerello. Per i trasferimenti di immagine e di emulsione invece acquistai un Vivitar Polaroid, che permetteva di stampare da diapositiva su pellicola polaroid peel-apart.
L’idillio di quel periodo tra me e le mie polaroid però era destinato a finire quando la polaroid annunciò la sospensione della produzione di tutte le sue pellicole. Misi quindi la mia sx-70 e il mio Vivitar nel cellophane e quasi me ne dimenticai. Ma nel 2017 la Impossible Project tentò appunto l’impossibile, provando a recuperare la produzione di pellicole istantanee, le quali però dovevano necessariamente essere prodotte in modo diverso da quelle che le precedevano, offrendo delle possibilità diverse riguardo alle tecniche che mi avevano affascinato. Ma poco importava a me in quel momento… l’importante era che potevo buttare via quel cellophane finalmente!